Montagne dall'altra parte del Mondo

DAL diario di viaggio - 2013/2014 Nuova zelanda

Montagne dall’altra parte del mondo

“Hey Aris ti chiamo dalla cima del Monte Rintul, hai ancora intenzione di venire a camminare con noi nei prossimi 6 giorni ?”

“Si parto domani perché ?”

“Beh avrei bisogno di un paio di scarpe nuove le mie sono completamente a pezzi.. si sono aperte definitivamente.”

“Nessun problema te le porto io, che numero hai ?”

Avevo camminato 1690 km e davanti a me ce ne erano altri 1500 che mi aspettavano, le scarpe con cui ero partito più di due mesi prima, dopo l ennesimo tentativo di riparo alla buona, erano ora completamente lacerate, avevano resistito fin che avevano potuto e lassù, raggiunta la cima rocciosa oltre i 2000 metri avevano tirato definitivamente le “cuoia”, ho acceso il telefonino sperando di avere campo e ho chiamato il mio amico Aris.

Stavo attraversando a piedi tutta la Nuova Zelanda, dal punto più a nord al punto più a sud, attraversando antiche foreste vergini, fiumi dalle acque glaciali, laghi che sembravano specchi, spiagge infinte, ma soprattutto MONTAGNE, montagne e ancora montagne. Ero partito da solo verso la metà di settembre, che nell’emisfero sud coincide con la primavera, per l’avventura della vita: una camminata di oltre 3000 mila km continuativi in una natura incontaminata, pura e vergine. Un viaggio spirituale, mentale e fisico che ha cambiato la mia vita, 4 mesi passati in silenzio, 4 mesi vissuti seguendo il ritmo biologico più naturale possibile: dall’alba al tramonto.

Essendo cresciuto sulle Dolomiti Friulane sono sempre stato attratto dalle montagne, hanno sempre fatto parte della mia vita; in questa lunga camminata, che per la gran parte segue le catene montuose che caratterizzano il paese, ho avuto modo di fare ciò che più mi piace: attraversare le montagne, passo dopo passo, seguirne le infinite linee di cresta. Crescendo mi sono reso conto che la cima di per se non era ciò che attirava la mia attenzione, il camminare lungo le creste ha sempre creato emozioni forti in me, guardare indietro e poter scorgere da dove si arriva, guardare avanti e scoprire dove si è diretti, guardarsi intorno e rendersi conto di essere nel punto giusto, nel bel mezzo tra il passato e il futuro.

Per quasi 2 settimane abbiamo camminato attraverso una catena di montagne chiamata “the Richmond Range”. Cresta dopo cresta, valle dopo valle, un’infinita foresta, una delle più fitte che io abbia mai attraversato, cosi intensa da togliere il fiato, uscirne dopo 4 giorni per raggiungere una cima è stato come una liberazione; aria fresca. Da quella cima potevo vedere un territorio enorme estendersi tutto intorno a me, boschi vergini, antichi e saggi, sinuose montagne dai colori caldi, alte cime ricoperte da neve e ghiaccio, vulcani in lontananza con un cappello di nuvole sempre appresso. Il silenzio di quei luoghi farà per sempre parte di me. In montagna dovunque ci troviamo, ci viene concesso il silenzio, un lusso al giorno d’oggi alquanto privilegiato ma non per questo meno necessario, il potersi ascoltare, lontano da rumori e distrazioni che ogni giorno ci inseguono, ma lassù ci viene concessa quella pace che andiamo cercando. Dopo 9 giorni camminando in quella foresta abbiamo incontrato 2 persone: non ci sembrava vero, ci eravamo cosi profondamente immersi in quella natura selvaggia da esserci dimenticati, per qualche attimo, di tutto il resto, perfino che esistessero altre persone all’infuori di noi 3 camminatori silenziosi. Ci siamo sorpresi esclamando “Eh voi chi siete, da dove venite ?” Quella sera, intorno al calore di un fuoco, in un bivacco disperso tra i monti, abbiamo riso e scherzato, condiviso storie e racconti di viaggio e vita vissuta, abbiamo condiviso un tramonto rosso fuoco, e un alba dai colori velati. Viaggiatori che si incontrano nel bel mezzo di un lungo viaggio, direzioni opposte, eppure stessa voglia di vivere circondati dalla natura. Le mie scarpe dopo quasi 1700 km e a 2 giorni di cammino dal prossimo paesino erano come se non esistessero più, aperte su entrambe le punte e su un lato, i lacci ormai erano lunghi solo una quindicina di centimetri, per fortuna che Aris me ne stava portando un nuovo paio. 

La Sezione seguente è stata, a mio avviso, la più bella ed affascinante. Per 6 giorni abbiamo camminato tra i Giganti: grandi montagne rocciose, pareti scoscese frastagliate da cascate bianche e impetuose. Attraversando un fiume abbiamo rischiato di essere trascinati via in più di un occasione, ma abbiamo imparato ad aspettare, e a riprovarci il giorno dopo di mattina presto quando l’acqua è più bassa. Nelson Lakes National Park è uno dei parchi più selvaggi di tutta la Nuova Zelanda, le Alpi qui sono alte e piuttosto rocciose nella loro sommità, le valli che caratterizzano questi luoghi sono verdi, rigogliose e silenziose, attraversate da fiumi glaciali, limpide acque azzurre che si riversano in una moltitudine di laghi di montagna, alcuni molto vasti e profondi altri piccoli e trasparenti. Più in alto verso le cime innevate, uscendo dai boschi, i prati erano arancioni e gialli, seccati dal sole dell’estate, lunghe spighe che si muovevano nel vento tagliate dalle nostre tracce dirette verso il prossimo Passo e bivacco. Le luci delle stelle di quella notte, riflesse sul lago, si animavano ogni qual volta la brezza smuoveva le acque, ora nere e misteriose. La chiamammo “la danza delle stelle”. Ci svegliammo presto per assistere a quel fenomeno che chiamiamo Enrosadira, i monti si colorano di rosso, poi di rosa, poi di arancio e infine di giallo; e dopo una breve colazione riprendemmo i nostri sentieri attraverso le montagne. Prima di partire però ho abbandonato le mie vecchie scarpe, compagne di lunghe camminate e avventure, non volevo buttarle in un secchio della spazzatura, volevo lasciarle in un posto magico, cosi me le sono caricate fin lassù, e quella mattina non lontano dalle rive del lago e davanti ai giganti ho pensato fosse il luogo degno per loro, sotto un sasso, riparate dal vento a godersi quel panorama ogni girono da li in avanti. Per 6 giorni abbiamo camminato attraverso quelle montagne, su e giù per i Passi, anche scivolando lungo pendii innevati, e alla fine ci ha accolto una mandria di cavalli selvaggi, liberi di correre sui prati e valli a lato dei fiumi, ci hanno osservato e accettato tra loro per qualche ora prima di muoversi verso pendii più verdi. Emozioni uniche, un espressione di libertà pura e vera, vivida nei nostri cuori e animi. 

Durante un altra sezione di quel lungo viaggio, attraverso la Tararuas Range, ho imparato che nonostante tutta la pianificazione necessaria siamo sempre in balia delle condizioni meteo ed è sempre meglio portarsi da mangiare per qualche giorno in più..se si pensa che ci vogliano 5 giorni, quando si compra il cibo, è sempre meglio considerarne 7. Quella mattina ci siamo svegliati prestissimo, avevamo una lunga giornata davanti a noi e volevamo vedere l alba da più in alto. Senza fare una gran colazione siamo usciti dal bivacco verso le 4 di mattina, era ancora buio pesto fuori e c’era una nebbia molto fitta e umida, non pioveva ma eravamo completamente bagnati, abbiamo camminato per quasi un ora con la luce delle frontali che faceva riflesso nella nebbia e sembrava sempre di camminare verso un muro, poi d’un tratto senza nemmeno accorgersene siamo sbucati fuori, la luna piena illuminava il mare bianco di nuvole che ricopriva tutto, solo le montagne più alte spiccavano fuori come isole nere ed imponenti. Uno spettacolo da togliere il fiato, piano piano l’oscurità lasciava spazio a fievoli colori di tinte rosacee. La luce della luna, prima intensa e vivace si faceva più leggera e soffice fino a diventare giallastra e poi quasi trasparente, le nuvole, come onde del mare, avvolgevano ogni cosa, il silenzio era assoluto. Seduti ad ammirare questo momento ci siamo goduti l’alba di un nuovo giorno al di sopra di un oceano sconfinato di nuvole. Per tutto il giorno abbiamo camminato lungo le creste delle montagne, abbiamo attraversato una delle più antiche foreste della Nuova Zelanda, un posto che sembrava di un altro pianeta, di un verde impossibile da descrivere che ricopriva qualsiasi cosa, alberi bassi e contorti con la barba lunga. Era ancora giorno quando intravedemmo il bivacco che ci avrebbe ospitato per quella notte. Poco prima del tramonto quelle nubi che avevamo osservato dal di sopra iniziarono a salire verso di noi, minuto dopo minuto si facevano sempre più vicine fino a che la tormenta ci investì in pieno. Il silenzio si tramutò in un rumore assordante, il bivacco in legno in cui ci eravamo sistemati iniziò a tremare scosso dalle forti raffiche del vento. Pensavamo che sarebbe durato una notte, ma ci sbagliavamo di grosso: per giorni fummo in balia della tormenta, pioggia che cadeva dall’alto, di lato e anche dal basso. Dovetti razionare il cibo che mi era rimasto per farmelo durare fino a che la tempesta non fosse passata. Il rumore della tormenta e lo scricchiolio del legno ci accompagnò per 3 giorni e 3 notti e poi com’era arrivata se ne andò: d’un tratto il silenzio mi svegliò di colpo! Erano le 3 di notte, restammo in ascolto, ci guardammo e senza dire una parola preparammo gli zaini in fretta e furia e uscimmo. Quel giorno dovetti camminare 35 km con una barretta di frutta e una mela..era tutto quello che mi era rimasto.

Di cammini ne ho fatti molti ma questo, il più lungo fin ora, è stato il più affascinante. La sera subito prima del tramonto, mi sedevo fuori da solo a guardare la luce affievolirsi, pensavo a quello che era successo quel giorno, ai luoghi che avevo attraversato, a quello che avevo visto. Scrivevo qualcosa sul mio quaderno di viaggio: note e pensieri, sogni e paure. Non era cosi importante quello che mi aspettava l’indomani, quello che contava di più era quel momento, in silenzio con me stesso, con le mie emozioni e sensazioni. Quei 4 mesi hanno dato un significato a ciò che chiamiamo libertà e felicità. É un qualcosa che inseguiamo da sempre, pensiamo di dover andare in capo al mondo per trovare qualche risposta quando in realtà basta fermarsi e ascoltarsi. Le montagne mi hanno dato questa possibilità e non smetterò mai di ringraziarle.

Andare in montagna è tornare a casa
— John Muir